Dalla rubrica “Lupi e agnelli” , di Francesca Ruscelli – Luca Corcione

Tre anni fa un ragazzo, D., è entrato nella nostra Cet in regime diurno. Una storia come tante altre, ma una storia che è sempre diversa, perché ogni persona è “a modo suo”, e si confronta con la realtà e le persone che incontra (noi per esempio come educatori) in modo diverso, che dipende dalla sua storia personale, dalle esperienze vissute, dagli incontri avuti, da ciò che la vita gli ha posto dinnanzi.
Raccontiamo la sua storia, che si intreccia con la nostra, educatori all’interno della Comunità Educativa Territoriale “Casa don Bosco”, sita a Genova Sampierdarena, all’interno dell’Opera don Bosco: una giovane realtà educativa che fonda il proprio stile educativo sugli insegnamenti religiosi e pedagogici di Don Bosco, il santo dei giovani, insegnamenti e pratica che hanno radici nel principio della ”prevenzione”.
D. è oggi un ragazzino di quasi 13 anni, entrato tra i primi ad abitare la nostra casa, insieme a suo fratello E.
La storia di D. è segnata, oltre che da una situazione familiare complicata, dalla diagnosi di disturbo dello spettro autistico e da una fragilità cardiaca. Recentemente anche da un grave disfunzionamento renale che lo ha portato ad un lungo ricovero ospedaliero durante lo scorso anno.
Il suo stato di salute ha portato con sé alcune regressioni marcate rispetto al piano programmato di un accompagnamento educativo per la sua crescita e maturazione, anche al di fuori dei problemi normali legati allo sviluppo psicologico. Un’occasione e un invito alla fiducia nelle forze della vita e del bene, e all’ottimismo cristiano (e salesiano). Ma anche un impegno di responsabilità per noi per non “lasciar perdere” e abbandonarci all’inevitabile, ma per lavorarci insieme.
All’inizio il disagio del minore si manifestava attraverso l’aggressività, acutizzata sicuramente dal distacco dalla madre e l’inserimento in un ambiente con persone nuove. I pianti e il rifiuto di accettare i cambiamenti per D. sono stati davvero difficili da affrontare, e la costruzione di un rapporto educativo ed affettivo è stato necessariamente graduale.
Egli appariva trascurato sotto alcuni aspetti, sia igienici che di accudimento, anche se la madre è sempre stata molto presente e se ne prendeva piena cura. La separazione difficile dei genitori, così come la precarietà economica creavano attorno a lui situazioni di tensione che, normalmente già complicata per ogni bambino, risultava per D. più difficoltosa, per la sua peculiare situazione di salute.
Ciò ha richiesto tempo e quell’amorevolezza di cui parlava Don Bosco, come cardine del sistema preventivo.
In questa esperienza che stiamo vivendo come educatori, stiamo confermando e maturando alcune convinzioni e certezze che avevamo studiato solo sui libri. Non c’è nulla come l’esperienza diretta, il contatto, la realtà vera a chiamare in causa, a scombinare idee, a validare o meno la teoria. Così è stato con D.
La costanza nell’esserci e nel fare in modo che il ragazzo potesse prendere fiducia poco a poco, nella nuova situazione che stava vivendo, hanno reso possibile l’esperienza che ci auguravamo della sua crescita.
Per creare una relazione educativa siamo convinti che occorra riconoscere un’unicità del soggetto, che lo rende per noi diverso da ogni altro, “unico”. Riconoscendogli punti di forza, propri specifici bisogni, individuando un rapporto esclusivo per lui all’interno di una moltitudine di altri rapporti. Ad ogni minore va attribuita una sua specificità valorizzandola insieme, perché ne possa prendere coscienza egli stesso. Il tempo della relazione, che deve essere un tempo di reciprocità, ascolto e fiducia, richiede gradualità, osservazione per creare insieme strategie di supporto alla crescita specifiche.
L’intervento educativo verso il minore non può non comprendere anche un supporto e una collaborazione con la famiglia. Con la mamma di D. infatti si è e si sta lavorando tutt’ora perché possa comprendere e dare spazio alle vere priorità e bisogni dei figli, in questo tempo che presenta discontinuità come ogni percorso di crescita. D. quando è arrivato in CET risultava oppositivo ed oggi è più sereno e collaborativo, nonostante ci siano momenti in cui i passi avanti verso autonomie e serenità nell’affrontare diverse situazioni si siano arrestati o addirittura peggiorati. Ciò mostra anche la necessità di un lavoro sinergico tra le diverse figure di riferimento, a partire dai genitori e dagli insegnanti, e con l’opera mediatrice e di alleggerimento di noi educatori, fuori dai contesti formalmente educativi e socializzanti.
Ci sentiamo dunque impegnati ad accompagnare D. e la sua famiglia nella sua crescita, per il tempo della sua permanenza all’interno della nostra “Casa don Bosco”, ma siamo convinti che la forza pur debole dell’educazione possa produrre frutti e miglioramenti, per una vita dignitosa, utile e felice.

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