Pubblichiamo l’editoriale di don Rossano Sala in uscita sul numero di novembre/dicembre di Note di Pastorale Giovanile.
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La sesta e ultima tappa del nostro percorso di riscoperta e valorizzazione dei dinamismi virtuosi e delle prospettive generative del Sinodo sui giovani[1] affronta un altro nodo strategico: il legame tra appartenenza e partecipazione. Si tratta di una coppia di termini assai visibile e quantificabile, primo asset di lavoro della sociologia religiosa, perché si basa su cifre e numeri, ovvero su dati oggettivi. Anche se poi il tutto va interpretato pastoralmente a partire dal contesto specifico in cui questa generazione giovanile è nata, cresce e si sviluppa.
Un dato più che interessante
Una prima istanza che ci dà da pensare è l’evidente discostamento ecclesiale tra il livello universale e quello locale. In questi primi 25 anni iniziali del terzo millennio abbiamo assistito ad un fenomeno abbastanza costante, che si sta ripetendo con persistenza.
Da una parte – a livello locale – assistiamo ad una partecipazione sempre più rarefatta dei giovani alla vita ordinaria della comunità cristiana. Ne è il segno evidente la disaffezione alla Messa domenicale, che d’altra parte non riguarda solo il mondo giovanile. Sembra che per molti giovani vi sia mancanza di attrazione e anche poche possibilità concrete per divenire parte di una comunità cristiana locale. D’altra parte la mobilità giovanile e l’esperienza di una vita sempre più onlife non aiutano certamente né la presenza fisica né l’appartenenza costante ai ritmi ordinari di una comunità cristiana legata ad uno specifico territorio, come da sempre per esempio è la Parrocchia, prima e principale forma di presenza ecclesiale.
Dall’altra parte – a livello di Chiesa universale – stiamo assistendo a livelli di partecipazione giovanile che lasciano sorpresi perfino i sostenitori della secolarizzazione antireligiosa e a tutti coloro che nella Chiesa non vedono altro che negatività e degiovanimento. Immancabilmente, nei giorni successivi ad una Giornata Mondiale della Gioventù, tutti – nessuno escluso – fanno retromarcia rispetto alle più cupe previsioni dei mesi precedenti e si ricredono rispetto ad un mondo giovanile che continua a rispondere agli inviti del successore di Pietro partecipando con entusiasmo alle sue sollecitazioni.
Gli ultimi dati sul Giubileo degli adolescenti – invero segnato dalla morte di papa Francesco – e soprattutto sul Giubileo dei giovani, svoltosi a cavallo tra luglio e agosto del 2025, hanno lasciato ancora una volta interdetti coloro che prevedono catastrofi ecclesiali e assenze di grande portata. Anche questa volta la Chiesa, nonostante tutti i suoi evidenti acciacchi, è riuscita a convocare un milione di giovani, tra cui circa centomila italiani.
Insomma, i giovani non se ne sono andati dalla Chiesa. E nemmeno intendono farlo. Partecipano alla sua vita e le appartengono in forme diverse e inedite, che vanno prima di tutto rintracciate, poi apprezzate e infine valorizzate perché,
come già accennava il Documento preparatorio, “rispetto al passato, dobbiamo abituarci a percorsi di avvicinamento alla fede sempre meno standardizzati e più attenti alle caratteristiche personali di ciascuno” (III, 4). La comunità cristiana vive così di diversi livelli di appartenenza, riconosce con gratitudine i piccoli passi di ognuno e cerca di valorizzare il seme della grazia presente in ciascuno, offrendo a tutti rispetto, amicizia e accompagnamento, perché “un piccolo passo, in mezzo a grandi limiti umani, può essere più gradito a Dio della vita esteriormente corretta di chi trascorre i suoi giorni senza fronteggiare importanti difficoltà” (Evangelii gaudium, n. 44; Amoris laetitia, n. 305). I giovani stessi quindi, con le loro esperienze di vita frammentate e i loro cammini di fede incerti, aiutano la Chiesa ad assumere la sua naturale forma poliedrica (cfr. Evangelii gaudium, n. 236)[2].
Dal punto di vista invece del legame tra i momenti di ampia convocazione universale o nazionale e vita ordinaria della comunità cristiana – una questione annosa e continuamente ripresa dalla riflessione della pastorale giovanile – il tutto può essere mirabilmente sintetizzato in questo modo:
Nella Riunione presinodale dei giovani, i giovani si sono domandati come “colmare il divario tra gli eventi ecclesiali di portata più ampia e la parrocchia” (Riunione presinodale dei giovani, n. 14). Se i grandi eventi svolgono un ruolo significativo per tanti giovani, molte volte si fatica a inserire nel quotidiano l’entusiasmo che viene dalla partecipazione a simili iniziative, che rischiano così di diventare momenti di evasione e fuga rispetto alla vita di fede ordinaria. Una Conferenza Episcopale afferma, a questo proposito, che “gli eventi internazionali possono diventare parte della pastorale giovanile ordinaria, e non solo eventi unici, se la relazione tra questi eventi diventa più chiara e le tematiche sottostanti a questi eventi si traducono in riflessione e in pratica nella vita personale e comunitaria quotidiana”. Alcune Conferenze Episcopali mettono in guardia dall’illusione che alcuni eventi straordinari risolvano il cammino di fede e la vita cristiana dei giovani: in questo senso l’attenzione ai processi virtuosi, ai percorsi educativi e agli itinerari di fede appare decisamente necessaria. Perché, come dice una Conferenza Episcopale, “il modo migliore di proclamare il Vangelo in questa nostra epoca è di viverlo nel quotidiano con semplicità e saggezza”, mostrando così che esso è sale, luce e lievito di ogni giorno[3].
Categorie e stili da ripensare
In realtà, ancora una volta, si tratta di connettersi con i tempi che stiamo vivendo. Il cammino sinodale con i giovani lo aveva fatto con serietà fin dall’all’inizio, raccogliendo dati e sensibilità importanti provenienti da tutto il mondo. Effettivamente, al di là appunto di coloro che sanno vedere solo sventure, vi sono elementi illuminanti sul coinvolgimento dei giovani e sui loro nuovi stili di partecipazione alla vita della società attuale:
Di fronte alle contraddizioni della società, numerose Conferenze Episcopali notano una sensibilità e un impegno dei giovani, anche in forme di volontariato, segno di una disponibilità ad assumersi responsabilità e di un desiderio di mettere a frutto talenti, competenze e creatività di cui dispongono. Tra i temi che più stanno loro a cuore emergono la sostenibilità sociale e ambientale, le discriminazioni e il razzismo. Il coinvolgimento dei giovani segue spesso approcci inediti, sfruttando anche le potenzialità della comunicazione digitale in termini di mobilitazione e pressione politica: diffusione di stili di vita e modelli di consumo e investimento critici, solidali e attenti all’ambiente; nuove forme di impegno e di partecipazione nella società e nella politica; nuove modalità di welfare a garanzia dei soggetti più deboli. Come mostrano anche alcuni esempi molto recenti in tutti i Continenti, i giovani sono capaci di mobilitarsi, in particolare per cause in cui si sentono direttamente coinvolti e quando possono esercitare un autentico protagonismo e non semplicemente andare a rimorchio di altri gruppi[4].
La parola importante in questo paragrafo è “approcci inediti”. Sarebbe inutile e dannoso continuare ad utilizzare categorie del millennio passato per inquadrare le generazioni del terzo millennio. Per esempio, dal punto di vista della partecipazione attiva e dell’appartenenza spirituale, è molto difficile per dei giovani oggi sentirsi Chiesa in una realtà gerarchica e incapace di coinvolgere e corresponsabilizzare. Perché
si notano tra i giovani desiderio e capacità di lavorare in équipe, che costituisce un punto di forza in molte situazioni. Talvolta questa disponibilità si scontra con un eccessivo autoritarismo degli adulti e dei ministri: “Spesso i giovani faticano a trovare uno spazio nella Chiesa in cui possano partecipare attivamente e assumere ruoli di leadership. La loro esperienza li conduce a ritenere che la Chiesa li consideri troppo giovani e inesperti per assumere ruoli di leadership o prendere decisioni, in quanto non farebbero che commettere errori» (Riunione presinidale dei giovani, n. 7). È altrettanto chiaro che dove i giovani ci sono e sono valorizzati, lo stile di Chiesa e il suo dinamismo acquistano una forte vitalità capace di attirare l’attenzione[5].
Siamo disponibili, noi adulti chiamati a “presiedere” la comunità cristiana, a creare comunione, condivisione e corresponsabilità con i giovani, rispettandone l’originalità e coinvolgendoli attivamente? Siamo in grado di comprendere che la mobilità giovanile, la digitalizzazione del mondo e l’estrema velocità delle relazioni implicano la disponibilità a metterci in gioco per creare insieme con i giovani un nuovo modello di Chiesa?
Proprio qui risiede uno dei punti critici della sfiducia nelle istituzioni – sia politiche che ecclesiali – da parte dei giovani. Effettivamente l’attuale panorama mondiale a questo livello appare assai desolante. Così si esprimeva a questo proposito un passaggio importante dell’Instrumentum laboris:
Un altro tratto che attraversa molte società contemporanee è la debolezza delle istituzioni e la diminuzione della fiducia nei loro confronti, Chiesa compresa. Le risposte al Questionario on Line evidenziano come solo una minoranza dei giovani (16,7%) ritenga di avere possibilità di incidere sulla vita pubblica del proprio Paese: non che non vogliano, ma si trovano con ridotte possibilità e spazi. La mancanza di una leadership affidabile, a diversi livelli e in ambito tanto civile quanto ecclesiale, è molto denunciata dai giovani
[…] Il disincanto verso le istituzioni può però risultare salutare se si apre a percorsi di partecipazione e all’assunzione di responsabilità senza rimanere prigionieri dello scetticismo. Parecchie Conferenze Episcopali fanno notare che, in un contesto di insicurezza e di paura del futuro, i giovani si legano non più alle istituzioni in quanto tali, ma alle persone che, al loro interno, comunicano valori con la testimonianza della loro vita. A livello sia personale sia istituzionale coerenza e autenticità risultano fattori fondamentali di credibilità.[6].
Insomma, per “appartenere” – prima che “partecipare” – bisogna riconoscere che dentro l’istituzione ci stanno persone affidabili, coerenti, credibili che ne sono il nucleo portante e generativo. Non certo persone perfette, ma adulti che lottano continuamente per migliorarsi.
Non ci resta che ripartire dal Vangelo
In base a questi dati e a queste riflessioni, sta di fatto che dobbiamo essere in grado di allargare i nostri orizzonti. Si può credere senza appartenete? Oppure appartenere senza credere? E si può partecipare senza appartenere? Oppure appartenere senza partecipare? Sono connessioni nuove che oggi vengono esplorate dalla sociologia religiosa e rilanciate a partire dalle pratiche di appartenenza e partecipazione giovanile, che mettono in crisi i nostri modi classici di pensare.
Ma in realtà per pensare al nuovo dobbiamo ancora una volta prendere la ricone signrilersa facendo qualche passo indietro. Bisogna tornare al Vangelo e ai suoi dinamismi per comprendere la sostanza attiva di una comunità cristiana e che cosa significa per Gesù “appartenere” e “partecipare”. Bisogna di nuovo illuminare il rapporto che esiste tra fede, vocazione e discepolato. Risentiamo un passaggio importante a questo proposito:
Di fatto Gesù non solo ha affascinato con la sua vita, ma ha anche chiamato esplicitamente alla fede. Egli ha incontrato uomini e donne che hanno riconosciuto nei suoi gesti e nelle sue parole il modo giusto di parlare di Dio e di rapportarsi con Lui, accedendo a quella fede che porta alla salvezza: “Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace!” (Lc 8,48). Altri che l’hanno incontrato sono stati invece chiamati a divenire suoi discepoli e testimoni. Egli non ha nascosto a chi vuol essere suo discepolo l’esigenza di prendere la propria croce ogni giorno e di seguirlo in un cammino pasquale di morte e di risurrezione. La fede testimoniale continua a vivere nella Chiesa, segno e strumento di salvezza per tutti i popoli. L’appartenenza alla comunità di Gesù ha sempre conosciuto diverse forme di sequela. La gran parte dei discepoli ha vissuto la fede nelle condizioni ordinarie della vita quotidiana; altri invece, comprese alcune figure femminili, hanno condiviso l’esistenza itinerante e profetica del Maestro (cfr. Lc 8,1-3); fin dall’inizio gli apostoli hanno avuto un ruolo particolare nella comunità e sono stati da lui associati al suo ministero di guida e di predicazione[7].
Qui si ragiona a cerchi concentrici. Di più: siamo invitati a prendere la figura del poliedro, tante volte evocata da papa Francesco, come matrice di riferimento per delineare stili e tempi, presenze e assenze, lontananza e vicinanza rispetto all’appartenenza e alla partecipazione.
Da sempre nella millenaria storia della Chiesa vi sono state forme diverse di sequela del Signore, conformemente al dettato evangelico che ci restituisce modalità diverse di chiamata alla fede, al discepolato e all’apostolato. Vi è un’enorme ricchezza evangelica di prospettive che molte volte noi con superficiale immediatezza riconduciamo banalmente a poche e standardizzate posizioni vocazionali, che rischiano di limitare non solo il nostro sguardo, ma di farci leggere il Vangelo in termini assai ristretti.
Pensiamo, per fare un esempio macroscopico, proprio al tema della vocazione. Si è talmente affossato in ambito ecclesiale da ridurre l’idea di “vocazione” solo alla chiamata ad un servizio in ambito intra-ecclesiastico. Eppure vi è una vocazione alla santità che riguarda tutti, una vocazione alla famiglia, una in ambito lavorativo, altre ancora nel terreno politico. Ogni cristiano è un chiamato in virtù del battesimo e dovrebbe avere il diritto e il dovere di fare un “discernimento vocazionale” per scoprire in che modo egli può essere una missione su questa terra. E questo evidentemente riguarda ogni giovane, che ha bisogno di essere accompagnato per poter trovare il suo posto nella Chiesa e nel mondo, maturando con originalità il suo modo di appartenere ed essere partecipe in un mondo in rapida e radicale metamorfosi.
Oggi, spinti dal mondo giovanile in continuo e magmatico cambiamento, siamo invitati invece a rileggere il Vangelo in termini più ampi e lungimiranti, conformemente alla sua natura profondamente cattolica. Scoprire che Zaccheo non è l’apostolo Giovanni, che la chiamata di Pietro non è sovrapponibile a quella di Maria di Nazareth, che la fede della donna siro-fenicia e del centurione sono lodate più di quella degli apostoli, che la samaritana non è il Battista e che Nicodemo ha il suo itinerario di fede diverso da quello del cieco nato o dei dieci lebbrosi ci fa solo bene. Ancora, che la fede dell’emorroissa è davvero invidiabile e invece quella di tanti altri vicini al Signore è misera e fredda, che la Samaritana non è assimilabile agli amici del Signore – Maria, Marta e Lazzaro – e che il cieco nato ha una traiettoria diversa dai dieci lebbrosi ci istruiscono che il Vangelo è molto più ricco, variegato e sorprendente rispetto alle nostre misere vedute.
Così si potrebbe andare avanti, citando ogni episodio dove emerge l’artigianalità amabile, signorile e delicata di Gesù che sa incontrare ognuno nel punto esatto in cui la sua libertà si trova e lo sa condurre con sapienza e decisione verso il suo modo specifico di sequela, diverso da ogni altro o altra che incontra. Siamo invitati ad allargare gli orizzonti, lasciare che il nostro cuore si lasci dilatare dall’incontro con il Signore. Altrimenti restiamo dentro strettezze e vicoli ciechi che non ci portano da nessuna parte, soprattutto se vogliamo accompagnare i giovani oggi verso le novità che li attendono dentro e fuori la Chiesa. Proprio per questi motivi profondamente evangelici
nel Sinodo si è esortato a costruire una pastorale giovanile capace di creare spazi inclusivi, dove ci sia posto per ogni tipo di giovani e dove si manifesti realmente che siamo una Chiesa con le porte aperte. E non è nemmeno necessario che uno accetti completamente tutti gli insegnamenti della Chiesa per poter partecipare ad alcuni dei nostri spazi dedicati ai giovani. Basta un atteggiamento aperto verso tutti quelli che hanno il desiderio e la disponibilità a lasciarsi incontrare dalla verità rivelata da Dio. Alcune proposte pastorali possono richiedere di aver già percorso un certo cammino di fede, ma abbiamo bisogno di una pastorale giovanile popolare che apra le porte e dia spazio a tutti e a ciascuno con i loro dubbi, traumi, problemi e la loro ricerca di identità, con i loro errori, storie, esperienze del peccato e tutte le loro difficoltà[8].
NOTE
[1] Le prime cinque tappe dell’itinerario sono reperibili negli editoriali del 2025: Cfr. R. Sala, Respirare a due polmoni. L’importanza dell’ascolto e i dinamismi del discernimento, in «Note di pastorale giovanile» 1 (2025) 2-6; Id., Accompagnamento e annuncio. Uno stile ecclesiale per una necessità epocale, in «Note di pastorale giovanile» 2 (2025) 2-6; Id. Vocazione e missione. Il focus qualificante della proposta del Sinodo sui giovani, «Note di pastorale giovanile» 3 (2025) 2-6; Id., Affiliazione religiosa e ricerca spirituale. Un trend che spinge la pastorale giovanile a rinnovarsi, in «Note di pastorale giovanile» 5 (2025) 2-6; Id., “Fare casa” con i giovani. Strutture e relazioni al servizio di una vita piena e abbondante, in «Note di pastorale giovanile» 6 (2025) 2-6.[2] XV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, Instrumentum laboris, 8 maggio 2017, n. 177.[3] Ivi, 208.[4] Ivi, n. 27.[5] Ivi, n. 33.[6] Ivi, n. 59.60.[7] XV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, Documento finale, 28 ottobre 2018, n. 82.[8] Francesco, Esortazione apostolica postsinodale Christus vivit, 25 marzo 2019, n. 234.