Da Note di Pastorale Giovanile, rubrica “Lupi e agnelli” a cura di Salesiani per il sociale.
Racconto di un’esperienza di ricerca e di resistenza educativa nel quartiere Giostra
Ricerca condotta da Andrea Biagiotti, Elena Girasella, Tiziana Tarsia – Dipartimento COSPECS (Messina)
IL PROGETTO
C’è un luogo a Messina che si chiama Giostra. Un nome che evoca spensieratezza e movimento, sebbene sia un quartiere complesso, a volte – nel linguaggio della città – sinonimo di disagio, marginalità, abbandono. Eppure, proprio da lì, da questo quartiere che troppo spesso viene liquidato come “periferia problematica”, si è messo in moto un processo educativo silenzioso e tenace, capace di restituire alla scuola il suo ruolo di presidio di legalità, di comunità e di speranza.
Questo articolo fa da preambolo al racconto del progetto di ricerca partecipata condotto dal Dipartimento di Scienze Cognitive, Psicologiche, Pedagogiche e Studi Culturali COSPECS dell’Università di Messina, nato all’interno del progetto “Una giostra educante per i ragazzi. Contrasto della povertà educativa minorile per i ragazzi del quartiere Giostra di Messina”, promosso da Salesiani per il sociale e finanziato dall’Unione Europea nell’ambito della Missione 5 – Componente 3 – Investimento 3 del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) – Next Generation EU. Il progetto Giostra si è posto l’ambizioso obiettivo di lavorare su più fronti: ridurre l’abbandono e la dispersione scolastica, sostenere la genitorialità, promuovere il benessere dei minori, rafforzare la rete educativa territoriale. Migliaia di studenti e famiglie sono stati coinvolti in percorsi di peer education, tutoring scolastico, laboratori creativi e attività di mentoring, grazie alla collaborazione tra le scuole del territorio, l’Università, il Comune, le associazioni educative locali e gli oratori. Un’iniziativa che ha coinvolto per 2 anni il quartiere Giostra di Messina, uno dei contesti urbani più fragili della città, con l’obiettivo di contrastare la povertà educativa minorile attraverso un approccio integrato tra scuola, famiglia e territorio.
Il progetto ha coinvolto, oltre l’università, anche l’Associazione Don Bosco San Matteo, P.G.S. Giovanni Paolo II, Centro di Solidarietà F.A.R.O., Istituto San Francesco di Paola, Istituto Majorana-Verona Trento, Istituto Comprensivo Boer-Verona Trento, Istituto comprensivo Villa Lina Ritiro-Battisti-Foscolo, Istituto Comprensivo E. Vittorini (COSPECS) dell’Università di Messina, il Comune di Messina. Il progetto ha coinvolto animatori, studenti, docenti, educatori. L’associazione il Centro di Solidarietà F.A.R.O ha attivato un gruppo Peer educator, un laboratorio di composizione musicale, scrittura creativa e break dance, un laboratorio teatrale e break dance. Inoltre, realizzati laboratori di break dance ed improvvisazioni musicali in alcune zone di Giostra, nell’oratorio Salesiano San Matteo e nella Biblioteca di quartiere Penny Wirton. L’Associazione San Matteo ha attivato due interventi educativi: un laboratorio di tutoring scolastico per studenti di scuole elementari e medie, un progetto di mentoring individuale per ragazzi tra gli 11 e i 13 anni in situazione di svantaggio e attività di supporto alla genitorialità. L’ Associazione PGS – Giovanni Paolo II ha promosso laboratori sportivi per bambini e adolescenti, finalizzati al benessere psico-fisico e all’inclusione tramite attività sportive.
La ricerca curata dal Dipartimento COSPECS non si è limitata a misurare indicatori o raccogliere dati, ma ha provato a stare dentro le contraddizioni, ad ascoltare le voci, a costruire sapere dal basso, in collaborazione con scuole, associazioni ed enti del terzo settore. La ricerca ha avuto come focus il contrasto alla povertà educativa minorile nel quartiere Giostra e nelle aree limitrofe della V Circoscrizione della città. La ricerca è stata finalizzata all’esplicitazione di pratiche di lavoro e di collaborazione messe in campo dalle scuole e dai genitori per fronteggiare situazioni considerate problematiche. Il progetto ha saputo coinvolgere anche ragazzi spesso ai margini dei percorsi scolastici o sociali, lavorando sulla motivazione, sul senso di appartenenza e sulla riscoperta di sé. Una vera e propria “giostra” educativa dove scuola, famiglia, comunità e oratorio si muovono in sinergia, offrendo opportunità di crescita e inclusione.
Le premesse: perché una ricerca a Giostra?
La decisione di indagare proprio quest’area non è stata casuale. Da anni, Giostra è al centro dell’attenzione mediatica e istituzionale per via di fenomeni gravi e stratificati: dispersione scolastica, criminalità minorile, fragilità familiari, degrado urbano. Ma dietro queste etichette, spesso ripetute senza approfondimento, si nasconde un territorio abitato, vivo, dove le scuole svolgono un ruolo di presidio sociale e dove le famiglie, seppur tra mille difficoltà, chiedono sostegno, rispetto, possibilità.
La ricerca si è posta fin dall’inizio un obiettivo ambizioso: non solo studiare il territorio, ma farlo insieme a chi lo abita e lo attraversa quotidianamente. È questa l’anima partecipativa del lavoro, che ha richiesto tempo, pazienza e mediazione. I ricercatori non avevano legami diretti con Giostra, e l’accesso al campo è stato possibile solo grazie all’intermediazione degli enti partner, alla fiducia costruita con le scuole, al lavoro di tessitura con docenti, dirigenti e famiglie.
Un primo scoglio è stato, paradossalmente, il tempo. Avviato con ritardo, il progetto ha avuto solo nove mesi effettivi di ricerca sul campo. Un tempo breve, considerando la necessità di avviare relazioni, costruire fiducia, superare diffidenze. Tuttavia, proprio queste difficoltà iniziali hanno rivelato una delle verità centrali del progetto: senza una rete già attiva, senza fiducia tra i soggetti educativi del territorio, ogni processo partecipativo rischia di restare sulla carta.
Le fasi della ricerca: un lavoro dentro le scuole
Il percorso si è articolato in più fasi, ciascuna con un proprio metodo e un proprio ritmo. Dopo una prima ricognizione dei progetti già attivi nelle scuole in merito a tre tematiche chiave – dispersione scolastica, devianza giovanile, competenze educative genitoriali – si è passati alla raccolta dati.
Sono state realizzate 171 interviste semi-strutturate (a dirigenti scolastici, docenti referenti, educatori) e un focus group con nove genitori rappresentanti di istituto e di classe. Il metodo è stato misto, qualitativo e quantitativo: accanto all’analisi delle narrazioni, si è svolta una mappatura sociodemografica delle aree servite dalle scuole, utilizzando strumenti di georeferenziazione e analisi dei dati comunali.
I luoghi della ricerca: la V Circoscrizione come laboratorio educativo
Non solo Giostra. Il progetto ha coinvolto una porzione più ampia della città: Villaggio Svizzero, Ritiro, Annunziata, San Michele, Paradiso. Una V Circoscrizione caratterizzata da uno degli indici di vecchiaia più alti in Sicilia, da un tasso di dipendenza strutturale significativo e da una condizione sociale disomogenea, dove zone residenziali convivono con agglomerati di edilizia popolare nati in seguito al terremoto del 1908 e mai realmente rigenerati.
Le scuole coinvolte sono state cinque: San Francesco di Paola, Villa Lina Ritiro-Battisti-Foscolo, Elio Vittorini, Majorana Marconi-Verona Trento e Boer-Verona Trento. Ciascuna con la propria storia, le proprie risorse, i propri limiti. Ma tutte accomunate da un impegno attivo nel contrasto alla povertà educativa, spesso portato avanti con progetti innovativi, laboratori, iniziative extra-curriculari.
Le tre dimensioni della povertà educativa: cosa abbiamo scoperto?
1. Dispersione scolastica: meno numeri, più relazioni
Il primo dato emerso dalla ricerca è sorprendente: la dispersione scolastica esplicita è in calo, sia a livello cittadino che nel quartiere Giostra. Il lavoro delle scuole, sostenuto da progetti mirati, ha dato risultati. I casi di abbandono sono pochi, seguiti con attenzione e affrontati con interventi tempestivi.
Ma dietro il miglioramento quantitativo si nasconde una fragilità più sottile: la dispersione implicita, cioè la difficoltà degli studenti a mantenere una relazione significativa con il percorso formativo. Le scuole si interrogano su come coinvolgere, motivare, accendere curiosità.
«Appena un ragazzo inizia a mancare, lo chiamiamo, parliamo con la famiglia, cerchiamo soluzioni. Non aspettiamo che diventi un problema grande».
In questo senso, la scuola diventa uno spazio relazionale, dove la didattica frontale lascia spazio a laboratori, attività pratiche, apprendimento esperienziale. Una docente racconta:
«Se fai solo lezione teorica, li perdi. Ci vogliono cartelloni, uscite, attività che li coinvolgano. Devono fare, non solo ascoltare».
2. Devianza minorile: educare dove manca lo Stato
La devianza minorile è uno spettro che aleggia su Giostra, alimentato da una narrazione mediatica spesso sensazionalista. E in effetti, la criminalità organizzata è presente, come riconosce la Corte d’Appello nella sua ultima relazione: “La criminalità minorile assume una natura sempre più brutale, alimentata da insediamenti malavitosi stabili in alcuni quartieri”.
Eppure, nelle scuole il fenomeno è contenuto. Non emergono comportamenti violenti o devianza manifesta tra gli studenti. Questo non per assenza del problema, ma perché la scuola ha saputo costruire anticorpi: promozione della legalità, coinvolgimento, presidio culturale.
«Abbiamo una referente per la legalità che lavora con Libera, con le associazioni. Cerchiamo di dare altri modelli».
E i genitori confermano: «La scuola è l’unico luogo dove i ragazzi trovano regole, attenzione, senso»
3. Competenze genitoriali: una questione di alleanza educativa
L’ultima dimensione indagata è quella più difficile da misurare: le competenze educative genitoriali. Non si tratta di giudicare le famiglie, ma di capire se e come la scuola riesce a costruire con loro un’alleanza educativa.
Il quadro è complesso. Ci sono famiglie molto presenti, altre completamente assenti. Alcune partecipano con entusiasmo ai progetti, altre intervengono solo in caso di emergenza. Ma tutte, in fondo, chiedono la stessa cosa: che i loro figli abbiano un ambiente accogliente, sicuro, stimolante.
«I genitori si muovono quando c’è un problema concreto. Poi magari si ritirano, ma quella è la leva»
Molte scuole hanno provato a coinvolgerli con incontri, “caffè coi prof”, sportelli di counseling. I risultati sono alterni. La partecipazione aumenta quando le attività toccano bisogni concreti: supporto psicologico, orientamento, formazione per il lavoro.
«Le famiglie non sono incapaci. Sono in difficoltà. E vanno sostenute, non giudicate».
Cosa ci lascia questa esperienza?
La ricerca ha prodotto molti dati, ma soprattutto molte domande. E alcune riflessioni importanti:
• Le categorie rigide non bastano: dispersione, devianza, povertà educativa sono concetti che vanno declinati nella realtà quotidiana, con uno sguardo situato e processuale. Le storie sono sempre più complesse delle etichette.
• Serve più co-progettazione vera: le scuole ricevono molte proposte, ma poche sono costruite insieme. Creare tavoli stabili di lavoro con le associazioni del territorio può aumentare l’efficacia degli interventi.
• Condividere buone pratiche è fondamentale: molte scuole hanno sviluppato strategie efficaci per coinvolgere gli studenti e le famiglie. Mettere queste esperienze in rete, anche attraverso piattaforme digitali, può moltiplicare il loro impatto.
• I genitori non sono un ostacolo, ma una risorsa: se coinvolti nel modo giusto, possono diventare co-protagonisti del progetto educativo.
• Attenzione al tema delle tecnologie: il problema dell’uso-abuso dei dispositivi digitali è stato segnalato da molti insegnanti. È urgente affrontarlo con progetti mirati.
Conclusione: una giostra che gira, nonostante tutto
“Una giostra educante” non è solo un titolo evocativo. È l’immagine di una scuola che resiste, che si reinventa, che prova a offrire ai ragazzi di Giostra un’alternativa possibile. Nonostante la scarsità di risorse, nonostante il contesto, nonostante la fatica quotidiana.
Questa ricerca ci restituisce un messaggio chiaro: non esistono territori condannati, ma solo contesti in cui serve più coraggio, più alleanze, più ascolto. E forse, anche un po’ di fiducia in quelle giostre educative che, pur cigolando, continuano a girare.