di don Elio Cesari
Il Giubileo dei Giovani 2025 a Roma si è configurato come un evento di straordinaria risonanza, culminato nella solenne celebrazione eucaristica a Tor Vergata presieduta da Papa Leone XIV. Un momento particolarmente significativo che ha preceduto l’incontro papale è stato il SYM Jubilee, la settimana animata dal Movimento Giovanile Salesiano (MGS), che si è conclusa con l’invio di 5.000 giovani presso l’oratorio della Basilica di San Giovanni Bosco a Roma il 2 agosto 2025.
L’evento salesiano, durato una settimana, ha offerto ai giovani laboratori, incontri interculturali, momenti di preghiera e musica. A inviare i giovani a Tor Vergata sono stati don Fabio Attard, Rettor Maggiore dei Salesiani di Don Bosco, e suor Chiara Cazzuola, Madre Generale delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Il momento è stato suggellato da un gesto simbolico di semina: foglietti biodegradabili contenenti semi di fiori, sui quali erano scritti gesti di pace compiuti dai giovani, sono stati piantati in un vaso. Il messaggio centrale trasmesso ai giovani è stato: «Siate seminatori di pace, raccoglierete frutti di speranza». Suor Chiara ha esortato i partecipanti a diventare “missionari di pace nel loro quotidiano”, mentre don Fabio ha sintetizzato il messaggio con “incontro e luce, che diventa testimonianza”, invitandoli a essere “costruttori e artigiani di pace” e quindi “#peacebuilders”.
Il raduno di Tor Vergata non è solo un evento attuale, ma porta con sé un’eco del passato, inevitabilmente confrontandosi con il Giubileo del 2000 che vide protagonista Papa Giovanni Paolo II. Venticinque anni fa, la spianata era affollata da milioni di giovani, i “Papaboys”, che intonavano il celebre “Jesus Christ you are my life”. Con una differenza profonda, però. Quell’epoca era caratterizzata da un profondo ottimismo per il millennio entrante, prima degli eventi che avrebbero segnato profondamente il nuovo secolo, come l’11 settembre 2001 e la crisi economica del 2008. Si entrava nel nuovo millennio, si percepiva quasi una Belle Époque del ventunesimo secolo, in cui la fede e l’appartenenza religiosa erano qualcosa di più evidente e (quasi) scontato, lontana dalla minaccia della guerra e aperta a un futuro possibile di speranza.
Il contesto del 2025 è radicalmente diverso. I giovani di oggi sono i “figli dei ragazzi” di allora, molti nati anni dopo la morte di Giovanni Paolo II e che hanno vissuto per lo più con un solo Papa, Francesco. Se nel 2000 non si usavano smartphone, oggi i ragazzi si muovono con borracce e sneakers, e sono abituati a un mondo dove il “fare altro” è a portata di clic, tra i “reel di Instagram” e lo “scroll di TikTok”. Le cronache evidenziano (forse troppo…) un confronto tra le due epoche, interrogandosi su quanti di quei Papaboys siano ancora attivi nella fede e su come i figli di questi vivano l’esperienza oggi. Nonostante il refrain noioso fin troppo sentito sulle chiese vuote, centinaia di migliaia di ragazzi da 146 paesi si sono sobbarcati spese e viaggi per venire a Roma. Sono ragazzi catapultati in un mondo occidentale in cui tutto rema contro la fede e la pratica religiosa. La Generazione Z, nata tra il 1997 e il 2012, mostra un’attrazione per la fede, pur non sempre sapendone definire i connotati, e di certo non la respinge. Per questa generazione, la fede non è più scontata, ma qualcosa da ricercare e un dato sul quale investire. Il risveglio religioso, oggi, può iniziare da un video di qualche secondo captato dal proprio smartphone, un “primo passo” verso un percorso più faticoso di incontri e amicizie.
La riflessione di Papa Leone XIV, nell’omelia di Tor Vergata, si inserisce perfettamente in questo contesto, offrendo una proposta di fede che è intrinseca al cuore del giovane. Riprendendo le parole di Papa Francesco a Lisbona, il Santo Padre sottolinea come “Ognuno è chiamato a confrontarsi con grandi domande che non hanno […] una risposta semplicistica o immediata, ma invitano a compiere un viaggio, a superare sé stessi, ad andare oltre […], a un decollo senza il quale non c’è volo”. L’essere “assetati, inquieti, incompiuti, desiderosi di senso e di futuro” non è segno di malattia, ma di vita. C’è una “domanda importante nel nostro cuore, un bisogno di verità che non possiamo ignorare” che ci spinge a interrogarci sul “vero gusto della vita” e su cosa ci possa liberare dalla “non senso, della noia, della mediocrità”.
Il Papa invita a riflettere sull’esperienza del limite e della finitezza delle cose terrene, richiamando l’immagine dell’erba che “al mattino fiorisce e germoglia, alla sera è falciata e secca”. Questa fragilità, lungi dallo spaventare, è parte della “meraviglia che siamo”. Noi siamo fatti per una vita che “si rigenera costantemente nel dono, nell’amore”, non per un’esistenza “dove tutto è scontato e fermo”. Sentiamo una “sete grande e bruciante” che nessuna “bevanda di questo mondo la può estinguere”. Invece di ingannare il cuore con “surrogati inefficaci”, dobbiamo ascoltare questa sete e farne “uno sgabello su cui salire per affacciarci, come bambini, in punta di piedi, alla finestra dell’incontro con Dio”. Dio ci aspetta e “bussa gentilmente al vetro della nostra anima”. È bello, anche a vent’anni, “spalancargli il cuore, permettergli di entrare, per poi avventurarci con Lui verso gli spazi eterni dell’infinito”.
La pienezza della nostra esistenza non dipende da ciò che accumuliamo o possediamo, ma da “ciò che con gioia sappiamo accogliere e condividere”. Non basta comprare, ammassare, consumare; è necessario “alzare gli occhi, di guardare in alto, alle «cose di lassù» (Col 3,2), per renderci conto che tutto ha senso […] solo nella misura in cui serve a unirci a Dio e ai fratelli nella carità”. Questo porta a far crescere in noi “sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità”, di perdono e di pace, simili a quelli di Cristo.
Il Papa ricorda che la “speranza […] non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato”. La nostra speranza è Gesù, che “suscita in voi il desiderio di fare della vostra vita qualcosa di grande […], per migliorare voi stessi e la società, rendendola più umana e fraterna”. La proposta ai giovani è chiara e alta: aspirare alla santità, ovunque essi siano, e non accontentarsi di meno. Ciò si coltiva rimanendo uniti a Lui attraverso la preghiera, l’adorazione, la comunione eucaristica, la confessione frequente e la carità generosa. Affidando i giovani a Maria, la Vergine della speranza, il Santo Padre li esorta a continuare a camminare con gioia sulle orme del Salvatore e a “contagiare chiunque incontrino col loro entusiasmo e con la testimonianza della loro fede”. La chiamata vocazionale, insita nel desiderio di senso e di grandezza che già abita il cuore di ogni giovane, attende solo una proposta all’altezza delle sue aspirazioni più profonde. Il cuore dei Giovani non si accende per niente di meno!
Giovedì scorso in piazza san Pietro abbiamo sentito cantare Mr Rain con la sua bellissima “Supereroi”. Ritorniamo nelle nostre case con la consapevolezza chiara (se mai ce ne fosse stato bisogno, per chi è un po’ più distratto) che i veri supereroi sono i nostri Giovani – proprio questi del 2025 – perché, nonostante tutto e tra mille possibili distrazioni, sono riusciti a non perdersi la parte migliore.