Nella rubrica di NPG “Lupi e agnelli” sono raccontate storie di come il sistema educativo di don Bosco (il cosiddetto “sistema preventivo”) ha tutte le carte in regola per funzionare, per produrre risultati educativi buoni, pur nella costante “debolezze” dell’educazione, che è sempre un gioco di libertà e di rispetto.

Io sono Mirko, di Andrea Accaputo *

Conobbi Mirko nel giorno del suo arrivo a “La Casa di Sarah”, Comunità Residenziale per Minori nella quale, con un fratello più grande d’età e una sorella più piccola di qualche anno, avrebbe vissuto da allora.  Subito, mi colpirono la sua buona educazione ed il suo senso del rispetto, la parvenza di un “duro” contrapposta a una mitezza senza eguali. Quella di Mirko era una storia che si aggiungeva a innumerevoli altre storie di bambini, di quelle Vite tenute assieme da un filo sottilissimo e tenace, che si narravano tra i muri di quella Casa, ove, a quel, tempo, prestavo il mio servizio. Una storia, tessuta insieme a moltitudini di altre storie. Ma, proprio per questo, una storia unica ed irripetibile. E, come tale, meritevole di essere raccontata.

Mi chiamo Mirko. A me, piace volare.

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Io sono Mirko, e mi piace volare, anche se, un giorno, di me, nessuno dirà, mai, che fossi un abile aviatore.
Io volo di notte, quando la casa s’immerge nel silenzio, e con la testa poggiata sul cuscino, a seguire il battito incessante delle lancette di una sveglia posata su d’un ripiano, che segna l’ore che mi separano dal sopraggiungere del mattino.
Io volo di notte, quando mi chiedono di dormire, perché, domani, bisognerà che ci si svegli in tempo per potere correre a scuola, ma la mia mente non conosce tregua, e sforna sogni intramontabili come braccia formidabili di fornaia, l’uno dopo l’altro, in fila, come perle di collana di una signora un poco avanti con l’età, e nonostante qualcuno creda ch’io sia soltanto un ragazzino, e che sia, ancora, troppo presto, per decidere di sognare.

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Io sono Mirko, e stringo tra le mani un foglio, dove qualcuno ha scritto che dovrò lasciare casa. Pare che sia opportuno, e che lo facciano per il mio “bene”. Chissà se i “grandi” si domandino, qualche volta, che cosa pensino i bambini di quelle scelte che si compiano per loro conto e si giustifichino col desiderio di potere fare il “bene”? Ora, su d’un pezzo di carta qualunque, leggo che il mio “bene” sia di partire dal paese in cui sia nato ed abbia posto le mie radici, di separarmi dagli amici con i quali, lungo il tempo, io sia cresciuto ed abbia smesso di comportarmi come se fossi un bambino.
Quel che mi rincuora è che vivrò poco distante dal mio paese (Avola non è, poi, l’America!), e che, per farmi compagnia, porterò fratello e sorellina insieme a me, in una nuova “Casa”, ch’è il nome scelto per la mia vita in Comunità.

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Io sono Mirko, ed oggi è domenica.
Sono seduto a un tavolo di un bar, nella piazza principale di Avola, e sorseggio un aperitivo, attorniato da una folla di gente accorsa per me. Sorrido, e volgo lo sguardo ad osservare ciascuno. Parlano di me, lanciandomi occhiate furtive, e scorgo compiacimento nell’espressioni. A tratti, rimpiango i miei jeans e le mie scarpe da ginnastica ai piedi, ma, scoprendo il mio volto a una vetrina tirata a lucido, e accomodando il collo della giacca che indosso, debbo ammettere che, in fondo, il mio abito elegante non mi dispiaccia, e che, forse, oserei di rimetterlo ancora, una sera, per un cinema o una pizza, mangiata fuori porta.
D’altronde, oggi, è domenica. Una bellissima domenica di festa.
Gli educatori dicono che, a partire da adesso, io diverrò più giudizioso e saggio, ma che, del resto, abbia avuto, da sempre, la testa a posto.
Io sono Mirko, e, malgrado non sia propriamente un fanciullo, ho ricevuto poc’anzi il Sacramento solenne del mio Battesimo.

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Avete idea di cosa proverebbe, perdendo il nido, un passerotto avvezzo ad abitare un certo ramo? Vagherebbe, svolazzando, e intrufolandosi, smarrito, in ciascun luogo che riuscirebbe a ricordargli la propria zona. In qualcuno, troverebbe di che nutrirsi, ed un barlume di calore per potere confortarsi, ma, di certo, faticherebbe a riconoscersi, a rivelarsi a proprio agio.
È quanto sia capitato a me, seppur “La Casa di Sarah” mi accolse benevolmente, e dichiarandosi disposta a prodigarsi perché nulla mi mancasse.
Vivere e condividere la propria storia con altri giovani provenienti da universi differenti, spesso, contrastanti gli uni gli altri, non è, mai, la situazione più scontata che ti succeda di affrontare. Dapprima, fui proprio quel passerotto confuso ed esitante, che muoveva pochi passi, nel timore di sbagliare. Ribellandosi, talvolta, e gridando la propria rabbia in chiunque gli fosse capitato a tiro. Talora, mi rifugiavo lungamente nella mia stanza, abbandonandomi alla musica che amavo e a qualche gioco di gruppo online, ove, protetto dalla barriera di uno schermo, non v’era motivo alcuno di giudizio, e potevo deprivarmi da ogni schema che, altrimenti, avrei potuto recarmi appresso.
A scuola, riuscivo egregiamente. Frequentavo un Istituto Alberghiero, per coltivare la mia passione. Confidavo nelle mie innate capacità d’ascolto: mi consentivano d’imparare rapidamente, in classe, la lezione da studiare, così da non dovere, il pomeriggio, rimanere sui libri per delle ore, ed esser libero di dedicarmi a tutto ciò che mi aggradasse e che io avrei voluto fare.
A volte, imbastivo ricette nuove, e trascorrevo ai fornelli della cucina le mie ore. A “Casa”, mi riempivano di complimenti, sostenevano che, a dispetto dell’età, fossi già un cuoco provetto. Per loro, la mia “Paella” era una vera prelibatezza, e i tentativi di “Carbonara” riscontravano, puntualmente, il loro unanime consenso.
Questo m’inorgogliva, e mi spingeva a sperimentare e ad applicarmi un poco più. Se, in altri campi, mi ammutolivo, ed ero fragile ed insicuro, era nell’arte culinaria che riscoprivo il mio valore, ed assetato perennemente di conoscenza, di coltivare gelosamente la mia fucina di talenti.
Una volta, mi trovai faccia a faccia col Direttore. Presi il coraggio a due mani, e gli annunziai che, da quel momento, mi sarei adoperato per la ricerca di un lavoro, poiché la mia intenzione era di cominciare a guadagnare qualche soldo, e, soprattutto, di apprendere quanto maggiormente avrei potuto, per fare, di quell’autentico piacere, la professione da esercitare in un futuro che prospettavo.
Il Direttore non ebbe alcunché da obiettare. Mi fece un’unica raccomandazione: poiché, di lì a poco, avrei dovuto sostenere l’esame per potere conseguire il diploma, volle sincerarsi che non avrei trascurato l’impegno e l’obiettivo di ultimare gli studi che avevo intrapreso.
Lo rassicurai.
Il mio primo impiego non tardò a profilarsi.
Iniziai la mia opera col ruolo di aiutante, e, pian piano, spostandomi in alcuni, tra i più nomati locali del territorio, l’entusiasmo che infondevo nell’intraprendere il mestiere, mi valse mansioni di fiducia e responsabilità, e, così, riuscii a delineare i contorni di quella tela, ove presi a dipingere il mio avvenire, malgrado questo comportasse il sacrificio e la rinuncia di quella tipica beltà che si addiceva ai miei coetanei, di concedersi una dormita, ogni tanto, od una gita fuori porta, ricorrendo una qualunque festività.
Poco m’importava, del resto. Ero felice, raggiante di trascorrere i pomeriggi e le serate cimentandomi nell’accurata creazione di pietanze e piatti celebri, che ottenevano l’approvazione dei clienti, e, perfino, di quei palati sopraffini, che, altrimenti, li avrebbero rifiutati.
Se il mio primo stipendio mi parve una chimera, e, subito, ipotizzai la maniera più allettante di poter dilapidarlo, fu proprio il senso dei sacrifici spesi a fare sì che comprendessi l’importanza del risparmio.
Uno spicciolo dopo l’altro, serbato, dapprima, nella custodia d’un cassettino, fino a vedere accumularsi un gruzzoletto, e ad esclamare, stagione dopo stagione: – Sto realizzando un sogno!

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Mi chiamo Mirko. A me, piace volare.
Io sono Mirko, e stringo in una mano la chiave della mia prima auto, che, stamani, ho potuto acquistare con i frutti del mio lavoro e del fatto di aver creduto in me.
Dopo avere superato brillantemente l’esame per la maturità, decisi, in maniera inattesa, che avrei proseguito i miei studi, ed oggi frequento la Facoltà di Enogastronomia all’Università di Messina.
Non ho smesso, un solo giorno, di lavorare, e, malgrado la stanchezza si faccia largo, di tanto in tanto, sono fiero dei risultati ottenuti finora, e d’aver chiaro il sentiero da percorrere, per poter giungere alla mia meta.
Io sono Mirko, e mi piace volare, anche se, un giorno, di me, nessuno dirà, mai, che fossi un abile aviatore.
Semmai, fermandosi a rileggere la mia storia, qualcuno sentenzierà “Era soltanto un Sognatore”.
Io sono Mirko, e mi chiamano “il Sognatore”.
Dei più incalliti! – Potranno dire.
Ma non conosco altra maniera di volare.
Se non quella di credere fermamente ai propri sogni.
Coi piedi a terra, e la testa fra le nuvole, empirsi le proprie tasche di Speranza.
E, poi, aggrappati ad essa, levarsi in volo.
E perdersi, semplicemente, in quello spazio senza fine.

Andrea Accaputo è presidente de “La compagnia della gioia APS”, ente associato a Salesiani per il sociale rete associativa APS, con sede ad Avola in Sicilia, dove contribuisce ad animare alcuni servizi socio-educativi diurni e residenziali, come quello in cui ha conosciuto Mirko.

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