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Avvenire, i ragazzi riscattati dall’accoglienza

Sull’edizione odierna di Avvenire, un articolo di Nello Scavo racconta la storia di uno dei giovani migranti accolti in Sicilia grazie al progetto “Usaid” di Vis, Salesiani per il Sociale e Cnos Fap.

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Gli avessero chiesto di mettersi al timone di un incrociatore, di una petroliera, di un veliero o di un gozzo, Musa avrebbe detto di sì. Non solo per il fucile puntato alla testa. Ma perché avrebbe fatto qualunque cosa per andarsene dalla Libia e non metterci mai più piede. Per questo Musa era stato arrestato. Uno scafista per caso, sbarcato minorenne in Italia tra la riconoscenza dei suoi compagni di sventura che aveva condotto al largo e in salvo. Ma la legge è legge. E al timone del gommone c’era lui. Era l’unico a sapere che se afferri il manubrio del motore ad elica devi spingerlo a destra per virare a sinistra, e il contrario per andare dalla parte opposta. Gli altri hanno testimoniato che a mettercelo erano stati i trafficanti, perché lui non aveva soldi per pagarsi il viaggio.

È così che Musa ha scontato la pena in un carcere siciliano. Senza odio né rancore: «Meglio un carcere in Italia che restare in Libia». Nel 2020, ormai maggiorenne, è stato scarcerato. Che poi vuol dire finire sulla strada. Era dicembre. Si è trovato, raccontano gli operatori del Vis, l’organizzazione internazionale del volontariato salesiano, «senza fissa dimora e senza lavoro, situazione resa
ancora più grave a causa della pandemia». Ma è stato proprio l’incontro con il movimento dei Salesiani di Sicilia che Musa non si è perso un’altra volta. Si è iscritto all’Istituto superiore “Fermi – Eredia” di Catania, per poter proseguire gli studi e ottenere il diploma. Poi è stato ammesso al progetto Sai (Sistema di accoglienza e integrazione) nel comune di Aidone, Enna. Qui i migranti non vivono in un centro collettivo, ma in una comunità diffusa, grazie a vari appartamenti messi a disposizione nel centro storico, facilitando il ripopolamento di aree desertificate dall’emigrazione e sviluppando progetti di inclusione sociale. È qui, tra i vicoli stretti e le improvvise piazzette di pietra, che si può incontrare Omar, gambiano, classe 2001. Anche lui senza familiari né legami in Italia. Aidone, terra di papi, generali, politici ed emigranti in ogni continente, ha un rapporto innato con i forestieri. Il santo protettore è l’apostolo Filippo, che nel 1801 fu fatto scolpire su un tronco d’Ebano. Lo chiamano ” ‘u niuru “, il santo nero che secondo la tradizione concederebbe più facilmente miracoli ai forestieri. E Omar, in fondo, si sente un miracolato. Era faticosamente riuscito ad integrarsi e a trovare un lavoro in un rinomato bar nel centro di San Cataldo, poco lontano da Caltanissetta. Ma quando il Covid ha messo in ginocchio il titolare, Omar non ha potuto più pagare l’affitto. È se ne è andato per strada, senza un tetto. Poi anche lui ha conosciuto il Vis e gli si sono aperte le porte della scuola superiore.

La gente di Aidone lo conosce per quel temperamento mite e i modi sempre cortesi. A tratti cerimoniosi. Continua a studiare e quando può si arrangia con qualche lavoro. Il merito, strano a dirsi, è anche di Donald Trump. Era stata proprio l’amministrazione dell’allora presidente Usa, campione del sovranismo e delle campagne anti immigrazione, a finanziare nel 2020 un progetto proposto dal Vis e finanziato da Usaid (l’agenzia Usa per la cooperazione internazionale) con l’obiettivo di mitigare le conseguenze della pandemia sui soggetti vulnerabili, migranti compresi. Non di rado Omar ricambia collaborando con il centro estivo salesiano sulla spiaggia di Catania, ritrovo per villeggianti e  gruppi estivi che arrivano dalle parrocchie di mezza Sicilia. Il Vis ha all’attivo nell’isola 6 centri di accoglienza nei comuni di Aidone, Piazza Armerina e Pietraperzia in provincia di Enna, la Colonia “Don Bosco” a Catania (lido per turisti gestito da alcuni ragazzi migranti), nel comune di Ragusa e nei locali confiscati alla mafia a Villarosa (Enna), sede del progetto “Sud Arte & Design”, da cui è nato il brand “Beteyà” che produce una linea di abbigliamento per uomo e donna, realizzata da ragazzi siciliani e migranti in strutture confiscate alla mafia.

Europa e migrazioni

di Renato Cursi

(NPG 2021-03-2)

Dopo secoli in cui è stata soprattutto terra di emigrazione verso altri continenti, in particolare quello americano, l’Europa da qualche decennio è tornata ad essere la meta di flussi migratori continui, multipli e misti. Continui, perché si assiste ormai da più decenni all’arrivo di centinaia di migliaia di persone in Europa ogni anno, con alti e bassi (compresi quelli registrati nell’anno della pandemia) che non alterano significativamente una tendenza crescente. Multipli, perché provenienti da diversi continenti e direzioni. Misti, perché questi flussi vedono protagoniste persone che migrano verso l’Europa con motivazioni differenti: dalla ricerca di migliori opportunità di vita in senso ampio, alla ricerca di asilo e protezione da catastrofi o persecuzioni di vario tipo. Da una parte, occorre riconoscere che anche nei secoli in cui è stata terra di emigrazione, l’Europa ha pur sempre assistito al continuo movimento delle popolazioni all’interno del suo territorio. D’altra parte, è pure evidente che la recente realtà delle migrazioni verso l’Europa da diversi continenti contemporaneamente rappresenta una sfida e un’opportunità inedita, cui sarebbe inadeguato paragonare altri episodi del passato come i movimenti delle popolazioni nord-asiatiche dei primi secoli dopo Cristo.

La storia dell’umanità e dell’Europa è da sempre segnata dalle dinamiche innescate da questi movimenti di popolazione, e la risposta che i popoli europei sapranno offrire oggi a questa sfida e opportunità ne segnerà certamente il futuro. Lo stesso Vangelo migrò in Europa due millenni or sono da quella regione chiamata oggi dagli europei “Medio Oriente”, segnando da allora profondamente il futuro dei popoli europei, che in fondo è anche il nostro oggi. Come sono chiamati a porsi oggi gli eredi di quel dono nei confronti di un fenomeno migratorio in parte inedito? Analizziamo il contesto di questo discernimento prima di presentare la proposta che oggi sfida su questo terreno la pastorale giovanile in Italia ed in Europa.
La storia consegna oggi ai popoli europei l’eredità di un processo di integrazione che assume nella sua forma più recente le vesti di un’Unione Europea. L’organo dotato di iniziativa legislativa all’interno di quest’organizzazione, la Commissione Europea, ha presentato il 23 settembre scorso un insieme complesso di misure volte a costituire un “Nuovo Patto sulla Migrazione e sull’Asilo”, con il proposito di offrire “un nuovo inizio in materia di migrazione in Europa”. L’aggettivo “nuovo” fa riferimento ad un “vecchio” sistema di regole comuni, in particolare in tema di esame delle domande di asilo.

Se già nei primi decenni del processo di integrazione intrapreso all’indomani della seconda guerra mondiale, i singoli Stati europei iniziarono a dotarsi di misure nazionali per adeguarsi al fenomeno delle migrazioni da Paesi non europei, è solo all’indomani della cosiddetta “guerra fredda”, che si arrivò ad un accordo comune sulla determinazione dello Stato competente per l’esame di una domanda di asilo presentata in uno degli Stati Membri delle Comunità Europee. Questa Convenzione, siglata nel 1990 a Dublino a partire da quanto già previsto dalla Convenzione internazionale di Ginevra del 1951, è il pilastro su cui si sono fondate negli ultimi trent’anni le politiche europee in tema di asilo e rifugiati. Le disposizioni europee adottate nel frattempo, infatti, hanno sempre confermato la regola per cui lo Stato Membro competente all’esame della domanda d’asilo è il primo Stato attraverso cui il richiedente asilo ha fatto il proprio ingresso nell’Unione Europea. Questa regola comportava un sistema iniquo, per cui l’onere dell’esame delle domande di asilo, cresciute in maniera significativa nel tempo fino a superare il numero di un milione all’anno nel biennio 2015-16, ricadeva esclusivamente sui Paesi posti alla frontiera meridionale e sudorientale dell’Unione (Cipro, Grecia, Italia, Malta, Spagna).

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Stessi sogni, storie diverse: la formazione per aprirsi e conoscere chi viene da lontano

Giovedì 29 novembre  i giovani delle parrocchie Patrocinio San Giuseppe e Santa Monica di Torino hanno vissuto il loro settimanale incontro di formazione all’Oratorio Salesiano San Luigi. Quest’anno il tema che li accompagna è la migrazione.
Trenta giovani, insieme ai loro accompagnatori animatori e il viceparroco don Daniele, si sono messi così in cammino per conoscere di persona altri giovani che hanno vissuto una migrazione importante. Arrivati in oratorio hanno ascoltato dalla voce di don Mauro, incaricato dell’Oratorio, i tanti progetti a favore dei giovani più poveri del quartiere e poi si sono messi in gioco attraverso interviste doppie: un giovane della parrocchia e un giovane del centro di accoglienza hanno risposto ad alcune domande.

Qual è stato il risultato delle interviste?  continua a leggere qui